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La Bank all’esame sociale

Prestiti a bassi interessi, investimenti sociali, progetti non profit. E a fine anno una pagella. Qui gli istituti non hanno scampo. Obbligati da una legge, che presto sarà ancora più severa

di Sergio Lucchetti

Contano più 350 miliardi di dollari di Nationsbank e BankAmerica o 115 miliardi di Citicorp/Travelers? La risposta non è ovvia quando si parla dell?impegno delle banche americane nei confronti delle fasce di reddito meno elevato e del loro sostegno ai quartieri più poveri delle città americane. Si tratta quindi di impegni a concedere prestiti a basso interesse per famiglie e piccole aziende, a prestiti immobiliari con le stesse caratteristiche e a investimenti per progetti comunitari. Nei casi delle banche sopracitate le cifre hanno un valore relativo perché si tratta di impegni decennali presi da banche oggetto di fusione per ottenere l?approvazione federale alla loro unione, e perché le cifre stesse verranno poi utilizzate in modo diverso dagli istituti. Per dare un esempio Nationsbank e Bankamerica si impegnano a concedere prestiti a basso interesse a consumatori per un totale di 30 miliardi di dollari, mentre Citibank e Travelers lo fanno in misura di 59 miliardi di dollari. Quello che conta, e per certi versi sorprende, è che negli Usa le banche devono impegnarsi per legge e per iscritto a favore delle popolazioni meno agiate. Altrimenti rischiano di venir criticate dalla Fed (la banca centrale Usa) o dall?autorità federale o statale che sovrintende alla loro attività, che possono richiedere di cambiare il programma di impegni. E quel che è peggio, soprattutto in una fase di consolidamento del settore, c?è il rischio che la Fed blocchi una fusione bancaria perché teme che i due istituti diminuiranno il loro impegno ?sociale? o non è convinta delle loro promesse. Le fusioni, infatti, vengono discusse in pubbliche assemblee alle quali si presentano regolarmente anche gli attivisti che operano nel territorio e quello dell?impegno sociale è uno dei temi più discussi perché si teme che nella corsa al risparmio sui costi le banche taglino proprio le attività meno redditizie.

Per legge, non per beneficenza
Al centro del dibattito, infatti, ci sono i contenuti di una legge americana approvata nel ?77, il Community Reinvestment Act (Cra), che richiede alle banche americane di aiutare a rispondere ?alle necessità di credito dell?intera comunità, compresi quartieri a reddito basso o moderato, e in linea con la corretta e sicura operatività? dell?istituto. La legge, in altre parole, impone alle banche di pensare anche alle zone dove opera e dove vivono i suoi dipendenti e di farlo in modo concreto, senza fare della beneficenza. Dal ?92 le banche si sono impegnate per 875 miliardi di dollari, rispetto agli 8,8 miliardi di dollari che erano stati promessi dal ?77 al ?91, ma il dibattito su questi temi è ancora accesissimo nonostante gli impegni record.
La legge non precisa alcun criterio per l?intervento delle banche, né sull?ammontare complessivo né sul tipo di prodotti finanziari consigliati, e non fa menzione delle zone geografiche in cui le banche si devono impegnare. Ecco perché diversi attivisti della Florida, ad esempio, lamentano che la grandi fusioni bancarie non hanno favorito i quartieri meno agiati del loro stato perché le banche che operano nella zona non hanno il loro quartier generale nel Sud ma a Chicago o in California.
A questo si aggiunge il quesito su quali rischi corra una banca che non prende impegni sufficienti o non rispetta quelli presi. Nel ?91 la Fed definì ?ottimo? l?impegno ?sociale? dell?11% delle banche esaminate, ?soddisfacente? quello dell?80%, l?8% vennero definite ?insufficienti? e solo nell?1% dei casi si parlò di ?mancato rispetto della legge?. Quest?anno le percentuali sono molto simili: ?ottimo? nel 19,7% dei casi, 78,2% ?soddisfacente?, 1,6% ?insufficiente? e 0,5% ?in palese violazione della legge?.
La legge, che non si riferisce al settore assicurativo e quindi a gruppi come Travelers, non impone vere e proprie penali per le banche che non soddisfano la Fed o non rispettano gli impegni presi.

Nel mirino degli attivisti
Nel caso di Nationsbank, la polemica sui numeri è anche di carattere qualitativo. L?impegno di 350 miliardi di dollari in dieci anni comprende anche 115 milioni di prestiti immobiliari a basso interesse, ma diversi gruppi di attivisti sostengono che la banca offre prestiti a gruppi di minoranze etniche che non hanno basso reddito, e quindi non rientrano nelle caratteristiche specifiche della legge Cra.
La stessa banca sostiene che l?impegno preso in occasione della sua fusione con BankAmerica è pari al 6% degli asset, mentre Citicorp lo fa solo in misura dell?1,7% anche perché si fonde con un gruppo assicurativo che non rientra nelle caratteristiche della legge.
A questo la Citicorp ribatte segnalando che il suo impegno è pari al 21% dei depositi bancari domestici dell?istituto, mentre nel caso di Nationsbank l?impegno totale non supera il 10% dei depositi e quindi è meno consistente. E mentre le banche discutono sulla qualità del loro contributo, gli attivisti contestano tutte quelle voci degli impegni che non beneficiano realmente i quartieri che ne hanno bisogno: i prestiti per aprire negozi che vendono prodotti alcolici nei quartieri più poveri della città o centri di pagamento di assegni per chi non dispone di conti bancari.
Altri sostengono che le banche considerano anche le carte di credito fra gli impegni per le fasce di reddito più basse, quando in realtà le condizioni per l?ottenimento delle stesse le rendono irraggiungibili per le fasce di reddito interessate al Cra.
L?urgenza di una revisione della legge è quindi evidente. Una proposta concreta l?ha offerta nei mesi scorsi la nonprofit Consumers Union sostenendo che la Fed deve imporre alle banche al centro di megafusioni di impegnarsi:

  1. a bloccare le tariffe delle commissioni bancarie per 5 anni e il minimo deposito richiesto per un conto corrente;
  2. a investire una ?quota significativa? dei risparmi sui costi derivati dalla fusione per aumentare i servizi offerti ai consumatori a basso reddito;
  3. a prendere impegni concreti per il Cra; 4) a rispettare le leggi statali sulla difesa dei consumatori a prescindere da dove la banca abbia la sua nuova sede centrale.

Fondazioni?Il governo non ha fretta

Le molteplici tipologie di istituzioni finanziarie che negli Stati Uniti sono impegnate a sostenere le attività non profit rappresentano, praticamente da sempre, una sorta di frontiera, di modelli guida cui si ispirano gli altri Paesi per mutuare poi nei rispettivi territori nazionali, analoghe esperienze. È il caso ad esempio delle grant-making foundations che perseguono scopi di pubblica utilità attraverso l?erogazione di contributi ad organizzazioni senza fine di lucro che hanno presentato loro dei progetti ritenuti particolarmente meritevoli di essere finanziati. Ad un simile modello hanno da poco cominciato ad ispirarsi le fondazioni bancarie italiane le quali, come noto, dagli inizi degli anni Novanta sono interessate da un complesso processo di privatizzazione che dovrebbe portarle, una volta vendute le banche di cui detengono il controllo, a svolgere il ruolo – del tutto inedito per l?Italia – di istituzioni private ?ricche? che perseguono scopi di pubblica utilità. Tuttavia l?iter parlamentare del cosiddetto disegno di legge Ciampi-Pinza che prevede di regolamentare l?intera materia procede piuttosto a rilento. Dopo circa un anno e mezzo intercorso dalla data di presentazione del disegno di legge, ancora mercoledì 15 luglio si è conclusa la discussione in Commissione Finanze del Senato e la settimana successiva è scaduto il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti. Ne consegue che quasi inevitabilmente l?approvazione definitiva di questo provvedimento così atteso dal mondo del non profit slitterà a dopo la pausa estiva.

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